giovedì 24 agosto 2017
martedì 21 marzo 2017
Due o tre cose che (non) so sull'amore
Diciamoci la verità. Invecchiare fa schifo, la forbice che
si restringe sempre di più è qualcosa che annichilisce, il tempo che passa
inesorabile sgomenta, perché capisci che si avvicina quatto quatto il momento
della resa dei conti. Eppure, avere cinquant’anni, ovvero essere al giro di boa
della propria esistenza, ha anche qualche lato positivo. Poca roba, ma c’è. Io,
per esempio, credo di capire un po’ meglio la natura umana, prendo certe cose
con più filosofia e affronto le mie paure con più determinazione di quanta ne
avessi da giovane.
La mia fortuna è che non mi sono mai posta i grandi quesiti
esistenziali, quali per esempio: “Dio esiste?”. “Cosa ci faccio sulla Terra?”.
“Qual è il mio scopo nella vita?”. “Perché Paola Perego fa la conduttrice su
RAI1?”.
Non ci sono risposte soddisfacenti a queste domande. Se
credessi in un dio qualsiasi, o a un’entità superiore, mi ci affiderei serena, sapendo
che prima o poi scoprirò la verità. Ma sono una miscredente, mi baso
sull’esperienza e penso che il destino non esista. Probabilmente tutto è dovuto
al caso. O alle botte di culo, se vogliamo vederla in termini più filosofici.
C’è solo una cosa alla quale credo, però. Alla capacità di
amare dell’essere umano. L’amore è il vero mistero della vita. Da dove nasce? Come scaturisce? Qual è la causa di questo sentimento? Perché lui o lei invece di un altro o di un'altra? Non c’è scienziato o religioso che
possa dare spiegazioni univoche su cosa sia l’amore. Eppure, alla fine, è l’unica cosa che
realmente conta. Tutto quello che desideriamo avere. Il resto è il contorno che ci consola dal non amare o dal non essere amati.
Nonostante l’età, non è che ci abbia capito un granché
sull’amore, ma provo a dare un mio piccolo contributo.
Innamorarsi è una delle poche cose della vita che noi non
possiamo decidere. Possiamo scegliere cosa indossare, cosa mangiare, dove
andare in vacanza, che lavoro fare. Ma non possiamo scegliere chi amare.
Succede e basta.
Innamorarsi è qualcosa di tremendo e sublime allo stesso
tempo, perché l’oggetto del tuo amore diventa la chiave che apre la porta alla
felicità o all’infelicità. O a entrambe le cose contemporaneamente.
Le
ragioni del cuore non seguono la logica o tutte quelle altre cianfrusaglie
moralistiche che ci vengono insegnate. L'amore va dove cavolo pare a lui.
Non
esiste la persona giusta o sbagliata di cui innamorarsi. Non esistono motivazioni
giuste o sbagliate per innamorarsi. Non esistono motivazioni e basta.
L’amore
dev’essere trattato come un malato grave, va curato, seguito costantemente,
monitorato, ha momenti di assestamento e ricadute, non può essere lasciato solo
neanche un minuto, altrimenti si spegne lentamente.
Il
matrimonio o la convivenza non garantiscono la solidità dell’amore, anzi, in
genere ne diventano la tomba, perché vengono a mancare i requisiti per
mantenere accesa la fiamma. Ovvero la distanza, la mancanza, l’assenza,
l’ansia, l’insicurezza e il desiderio di stare insieme. Se sai già che a ogni
fine giornata vedrai quella tale persona, più che la fiamma si accenderà il lumino
dei morti.
L’amore
a volte è illusorio, è come una promessa non mantenuta, ti sembra di afferrarlo
ma si dilegua appena lo tocchi.
L’amore
eterno non esiste perché non si vive in eterno.
L'amore è egoista e se ne sbatte delle conseguenze.
L’amore
non corrisposto non è vero amore, perché si nutre solo di fantasie che non si
tradurranno mai in realtà.
L’amore
non può essere associato all’abitudine. Le esigenze cambiano, noi cambiamo, e
se la persona al nostro fianco non vede queste trasformazioni e dà per scontato
il nostro sentimento, inevitabilmente non farà altro che allontanarci sempre di
più.
Quando
l’amore dell’altro si esaurisce, assistiamo impotenti e distrutti alla sua
fine, ma non possiamo fargliene una colpa. L’amore non si può imporre, non
possiamo tenere legate a noi persone che non ci amano più. Oltre che umiliante,
è controproducente per la propria vita.
Le
minestre riscaldate sanno di rancido.
Il
contrario dell’amore non è l’odio, ma l’assenza d’amore.
L’amore
spazza via ogni certezza e ogni luogo comune. Tutte le convinzioni se ne
vanno a farsi friggere, comprese le cose scritte sopra.
mercoledì 8 marzo 2017
8 Marzo. In difesa della donna ma non delle donne
Sarà politicamente scorretto affermarlo proprio oggi, ma le
donne non si amano tra loro.
Non voglio fare un discorso sui diritti e le pari
opportunità, che all’alba del 2017 dovrebbero essere elementi acquisiti da una
società civile degna di questo nome.
Parlo di un atteggiamento atavico proprio del carattere
femminile. Che è quello di vedere “l’altra” come una nemica, una rivale.
Ci lamentiamo – giustamente – dello sfruttamento
dell’immagine femminile come veicolo di una comunicazione becera, ignorante,
maschilista, in cui tette e culi vengono utilizzati per pubblicizzare qualsiasi
tipo di prodotto; veniamo descritte o come angeli del focolare, felici di
lavare il cesso con il nuovo detersivo al profumo di mare in tempesta, oppure
come top manager sicure, determinate, strafighe, ricche e dalla vita perfetta. Gli
uomini dei mass media fanno finta di non sapere che noi siamo ben altro, con le
nostre vite complicate, i nostri lavori precari, i soldi che non bastano mai,
le famiglie che teniamo in piedi con lo scotch, le nostre ansie e le nostre
piccole gioie.
A parole ci indigniamo per il trattamento che ci viene
riservato. “Dobbiamo essere libere di mostrare il nostro corpo così com’è!”.
“Possiamo vestirci come ci pare!”. “Non dobbiamo essere giudicate per il nostro
aspetto!”. “I mezzi di comunicazione trasmettono un’immagine distorta della femminilità!”,
e via sloganando.
E invece. Siamo le prime che, quando vediamo in giro una
taglia 48 con indosso un paio di leggins, pensiamo: non si vergogna a mostrare quelle cosce cellulitiche?
Analizziamo le nostre “sorelle” centimetro per centimetro in
cerca di un difetto, di una falla, di un qualcosa che ci faccia sentire più
fighe, paragonate a loro. “Beh, io non sarò magrissima, ma quella è proprio
anoressica. Gli uomini amano un po’ di ciccia”. “Tizia è alta, vero, ma ha il
culo piatto come il Tavoliere delle Puglie”. “Se non ha le braccia toniche,
perché Caia si mette il top? Un po’ di ritegno, no?”
Anche tra amiche succede. Anzi, soprattutto tra amiche. Ci
si vuole bene, si è solidali l’una con l’altra a livello umano, ma poi è più
forte di noi il bisogno di criticare, spettegolare, parlar male appena
possibile. Con affetto, naturalmente. Ma intanto la frecciatina è partita e
magari ha colpito il segno.
Non dovremmo, ma siamo proprio noi le prime a guardare l’aspetto
fisico delle altre. Siamo noi che rimaniamo inorridite dalle pecche altrui. Dal
trucco, dai capelli, dal peso, dall’abbigliamento. È una caratteristica innata che
probabilmente deriva dal nostro continuo bisogno di conferme, certezze,
adulazione, complimenti e riscontri da parte dell’uomo. Siamo insicure perché
ci hanno sempre fatto credere che per conquistare un maschio e tenercelo stretto
bisognasse puntare tutto sull’aspetto fisico. E in parte è vero. La bellezza
conta, eccome. Nella misura in cui è apprezzata dagli uomini, perché se non
esistessero loro, che cosa ci fregherebbe di essere gnocche o meno?
Fino a non tanti anni fa, le capacità intellettive delle
donne, non solo erano considerate un optional, ma persino una iattura. È da
poco, da dopo la rivoluzione femminista, che la società nel suo insieme sta
cercando faticosamente di cambiare mentalità. Non è un processo facile. Non è
un processo veloce. Ci vorranno chissà quanti altri decenni per fare un salto
in avanti da questo punto di vista. Certo, non abbiamo aiuti in questo senso.
Finché saremo trattate come pezzi di carne decerebrate, faremo fatica a
liberarci anche noi da questi condizionamenti. Per riuscirci dovremmo partire
dal piccolo. Essere più indulgenti in primis verso noi stesse. Guardarci allo
specchio e non notare solo i difetti, bensì quello che c’è oltre. Vederci con i
nostri occhi, non con gli occhi degli altri, soprattutto quelli maschili. Dirci che
siamo belle, anche se non lo siamo. Dirci che siamo simpatiche, carine,
divertenti, forti, che chissenefrega della buccia d’arancia, chissenefrega se
abbiamo una ruga o qualche chilo in più. Noi siamo quello che pensiamo di essere.
Se crediamo che conti solo l’aspetto fisico, non saremo mai davvero libere. Prima
di tutto siamo individui, persone, con le nostre fragilità e debolezze, e su
quello dovremmo concentrarci.
A volte, siamo proprio noi le nostre peggiori nemiche.
venerdì 3 marzo 2017
L'amore al tempo dei social
L’amore non è più un fatto privato, di coppia.
Si è trasformato in una specie di ammucchiata social nella
quale vengono coinvolti follower, amici, parenti e sconosciuti. Non si fa in
tempo ad aprire Facebook, Instagram e Twitter, che subito si viene investiti da
video e foto di momenti che dovrebbero essere intimi e personali, gettati in
pasto al pubblico per far vedere quanto si è felici e innamorati. Ma è
realmente così?
Il punto è che tutto ciò che facciamo e pensiamo, ormai,
viene condiviso con chiunque. Non esiste più il pudore dei sentimenti e dei
ricordi amorosi, che dovrebbero essere custoditi discretamente e non sparsi ai
quattro venti. Anche perché, scaramanticamente parlando, è sempre meglio non
sbandierare il proprio idillio, pena fare figure di merda catastrofiche se
tutto dovesse finire.
Persino sulla carta d’identità non è più obbligatorio
mettere il proprio stato civile; perché dunque su FB bisogna scrivere se si è
accoppiati, single o se si vive una relazione complicata? La cosa dovrebbe
riguardare soltanto le parti interessate, non essere di dominio pubblico.
Siamo smaniosi di condividere ogni momento della nostra
vita, anche quella affettiva, perché in qualche modo il semplice fatto di
postare foto e video dove per un attimo siamo stati felici, ci fa sentire
protagonisti, soddisfa il desiderio di attirare l’attenzione e di nutrire il
nostro ego bistrattato dalle frustrazioni quotidiane. In pratica, far parte di
una comunità di sconosciuti ci fa sentire meno soli. Ma è solo un’illusione,
perché più mettiamo in mostra i nostri sentimenti, più questi perdono di valore e
vengono massificati, uniformati, banalizzati. Per non parlare del rischio di
renderci ridicoli.
Non esistono più tabù. Abbiamo sdoganato di tutto, persino
le immagini dei morti non ci impressionano più di quel tanto. Sarebbe bello se
almeno l’amore rimanesse un’emozione da vivere nella sfera privata.
lunedì 27 febbraio 2017
La Mammafia
Per fortuna sono uscita dal tunnel, ma ancora le vedo in
giro.
Le Mamme.
Le Mamme diverse da me fanno parte della Mammafia. Parlano
solo di figli. Di scuola. Degli impegni extrascolastici. Delle festicciole che
organizzano ogni settimana, perché ogni settimana c’è un cazzo di compleanno di
qualche bambino. Delle maestre che danno troppi compiti. O pochi compiti. Del
compagno extracomunitario che, poverino, vivrà pure in una famiglia disagiata,
però disturba in classe. Dei corsi di inglese, dei corsi di danza, dei corsi di
arti varie. Perché un bambino non può rimanere in casa ad annoiarsi per un
pomeriggio, non sia mai. Della tata filippina che ha comprato la focaccina al
bambino intollerante al glutine e dev’essere licenziata.
Si ritrovano al mattino dopo aver accompagnato i figli a
scuola. Le vedi al bar per ore a farsi il caffettino, poi corrono in palestra dove
le attendono le lezioni di pilates o di yoga. Perché sono tanto stressate,
poverine. Naturalmente, hanno già dato disposizioni alla colf per il pranzo e
la cena, perché loro non hanno tempo. Al pomeriggio, prima di riprendersi i
figli, si ritrovano di nuovo al bar e si raccontano le tante amenità della loro
giornata. Raccattati i pargoli, li riportano ai suddetti bar per la merendina.
Mai fare l’errore di concedersi una pausa caffè dal lavoro alle 16.30; perché
ti ritrovi circondata da orde di bambini urlanti, passeggini con i figli più
piccoli che piangono disperatamente e madri che chiacchierano facendo finta di
niente. Al massimo, le senti rimbrottare affettuosamente i demonietti con un
“Luchino, non spaccare la spada laser in testa alla signora… Federico, smettila
di rotolarti per terra che dai fastidio… Mi scusi sa, ma sono bambini…”. No
cara Mamma. Non sono bambini. Sono incarnazioni di Satana o, nella migliore
delle ipotesi, maleducati all’ennesima potenza. Io non sono per la violenza
fisica, ma se invece del buffettino tirassi due schiaffoni sul culo
all’esorcista, vedresti che – magari – la prossima volta si comporta
meglio.
Ma queste sono quisquilie. Avete mai dovuto sopportare i
gruppi whatsapp delle Madri? No? Allora non potete capire cosa sia l’inferno in
terra. Centinaia e centinaia di messaggi giornalieri per sapere se la prof di
latino ha detto di studiare la pagina 21 o 22. Se qualcuno ha trovato nella
cartella del figlio il maglioncino di Gianbattista (non apro una cartella, la
mia, dal 1984). Se i ragazzi alla gita devono portare i panini o se si
arrangiano loro. Se qualcuno sa chi ha rubato la matita azzurra a Gaia, perché
se il colpevole non viene fuori ci saranno ritorsioni.
E poi, il peggio. Gli auguri. A Natale è l’apoteosi. Video interminabili
con Bambinelli nella mangiatoia, Re Magi, Babbi Natale, stelline danzanti,
renne volanti e relative musichette elettroniche in sottofondo.
Non puoi toglierti dal gruppo, perché se per caso arriva un
messaggio davvero importante dalle rappresentanti di classe, sei fottuta. E
allora ti rassegni. L’unica è silenziare i messaggi e leggerli quando hai
finito di lavorare, ma poi te ne ritrovi milleduecento e non sai se suicidarti
o passare per una madre di merda che si disinteressa dei figli.
Io ho scelto la seconda opzione.
Bisogna rompere il muro d’omertà e denunciare. Anche se la
Mammafia ha già vinto.
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