Non
c’è uomo educato che tenga. Una volta che il rapporto si è avviato sui binari
standard della quieta monotonia, il vostro partner, da gentleman inglese del
Settecento, si trasforma inevitabilmente in protoscimmia del Mesozoico. Cose
che prima non erano neanche lontanamente concepibili, come mingere davanti a
voi o ruttare sconsideratamente a tavola, ora non solo sono all’ordine del
giorno, ma persino ritenute doverose per una migliore tenuta del rapporto.
Perché i maschi adorano esprimersi in versi, benché non poetici. In genere,
infatti, sono provocati da fastidiose disfunzioni gastro-intestinali. Vi
considerano ancora le loro muse, tuttavia non ispirate più pensieri gentili o
lettere d’amore, bensì epiteti irripetibili e maledizioni al cui confronto,
quella di Tutankamon era un semplice avvertimento. E la cosa triste è che dopo
un po’ non ci si fa più caso, ma anzi, si comincia a provare una certa tenerezza
verso la loro tendenza a lasciare andare gas mentre dormono o a farsi le
caccole pensando di non essere visti.
Il
piede radioattivo
Lui
dice che la colpa è delle scarpe. Che ha sudato. Che gli si sono bagnati i
piedi. Che il detersivo non lava bene. Tutto, fuorché la spiegazione più
logica: gli puzzano i piedi. Sarà un fatto ormonale, sarà che il maschio ha
tendenzialmente una leggera idiosincrasia verso l’igiene, sarà quel che sarà,
ma il problema resta. Soprattutto nell’aria, quando alla sera si toglie il
mocassino-trappola mortale e l’effluvio che emana è talmente violento da
tramortire persino il bambino perennemente raffreddato. Che comincia a piangere
e corre da mamma tutto spaventato: papà è morto, papà è in stato di
putrefazione, papà si sta trasformando in un gorgonzola. In genere, l’uomo
adulto ridacchia con compiacimento, perché per lui è un punto di merito
rilasciare quell’afrore da obitorio. Anzi, secondo lui “l’uomo ha dda ppuzza’”,
come dice un famoso proverbio coniato senz’altro da uno sporcaccione. Allora
voi, sulle prime, per non offenderlo gli regalate il Pedorex talco, ma vi
accorgete che ha preso a sniffarlo al posto della cocaina. Così, passate alla
crema contro gli odori cattivi (fine eufemismo usato dalle case farmaceutiche
per non scrivere ‘crema contro una delle più frequenti cause di divorzio’); poi
passate allo spray da spruzzare nelle scarpe (come se per curare il cancro ai
polmoni si mettesse nei pacchetti di sigarette una fiala di eucalipto); infine,
disperate, disponete nei punti strategici della casa ogni possibile candela
divora-odori, tanto da farla assomigliare a un gigantesco altare scintoista; ma
tutto è inutile, perché quando alla sera il piede killer fuoriesce dal mocassino,
ogni possibile profumo ai “campi fioriti di primavera con note di limone e
menta più una spruzzata di essenza marina” viene sovrastato da quel diabolico e
immondo olezzo, che si sparge per tutta la casa e impregna persino le pareti.
Finché voi, ormai al lumicino, mentre dorme gli sparate direttamente in vena
tutto il flacone spray del Febreeze formato famiglia.
Il
dito-talpa (mi ricordo montagne verdi)
Capita
che, alla sera, dopo aver lavato i piatti, facciate finta di andare in bagno;
invece, vi nascondete dietro la porta del salotto, aspettate qualche minuto e…
tac! lo beccate mentre il suo dito sta esplorando gli anfratti più reconditi
delle narici, come se stesse percorrendo avanti e indietro tutto il traforo del
Gran San Bernardo. Al momento si sentirà un topo in trappola, ma poi, con un
sussulto d’orgoglio, manifesterà tutta la sua indignazione verso la vostra
estrema mancanza di rispetto nei confronti della sua privacy. Alle vostre
accuse risponderà SEMPRE che in realtà stava solo grattandosi una fastidiosa
crosticina del naso, negando clamorosamente l’attività di speleologo che
pratica ogni volta che voi uscite dalla stanza e lo lasciate solo. E a nulla
valgono le vostre proteste quando gli fate notare i fastidiosissimi pallini
verdognoli che costellano il pavimento vicino al divano. Perché lui negherà
fino alla morte, anche se il suo dito risulterà essere positivo all’anti-caccoling.
Aria di casa mia
L’uomo
ha due piaceri fisici nella vita: provare l’orgasmo e scoreggiare. Il peto è considerato
ancora più sublime dell’orgasmo per via delle innumerevoli varianti, dei
diversi effluvi sprigionati e delle soddisfazioni che suscita a livello
subliminale. Per il rapporto la scoreggia è uno spartiacque, al pari della pipì;
è il momento in cui la coppia ufficializza il proprio status, rende nota una
prassi consolidata di abitudini private e pubblici vizi. Altro che matrimonio
in chiesa. L’uomo aspetta prima di scoreggiare davanti alla propria compagna
per un periodo considerato sufficiente (di solito qualche settimana di
convivenza), per poi verificarne e saggiarne le reazioni. Che di solito sono di
imbarazzo i primi tempi, poi di divertimento ridanciano, infine di
rassegnazione. Gli uomini fanno a chi scoreggia di più e meglio, e si piccano
di essere dei grandi scoreggiatori quando riescono a modulare la fuoriuscita di
gas a mo’ di concertino sinfonico. Tutto ciò non li imbarazza minimamente,
perché la scoreggia è liberatoria, è un impulso infantile e gioioso, è un
ritorno alla fase anale di freudiana memoria. E guai a quella donna che si
lamenta. La donna deve sempre ridere delle scorregge del proprio uomo, se non
addirittura apprezzarne e incoraggiarne la pratica quotidiana.
Asse su, asse giù
Parlando
di piaceri fisici, non si può dimenticare la scrollatina maschile al termine
della pisciata mattutina. Il problema della tazza del cesso per una donna è
relativo. Tanto, le macchioline gialle costelleranno in ogni caso l’asse non
sollevato o il bordo della tazza del cesso, con gran dispendio di Cif
ammoniacal per disinfettare il luogo del misfatto. L’inconveniente più
fastidioso, però, è che lei in genere - soprattutto al mattino, mezza
rincoglionita dal sonno - non si accorge dell’asse sollevata e si siede
direttamente sulla ceramica, calcolando in automatico l’abituale distanza tra
culo e asse per poi accorgersi, con un inquietante senso di vertigine, di stare
sprofondando in un buco senza fine, fino al brutale atterraggio sul bordo
gelido. Come quando si va sulle montagne russe e c’è quell’attimo di
sospensione spazio-temporale prima della terrificante discesa. E lì, le
maledizioni all’indirizzo dei piscioni distratti si sprecano.
“Striscia” la mutanda
C’era una vecchia barzelletta
sporca che definiva in modo appropriato la differenza tra zona anteriore e zona
posteriore delle mutande di un uomo. Dove c’è la patacca gialla è il davanti,
dove c’è la striscia giallo-marron è il di dietro. L’uomo, purtroppo, è
convinto che la scrollatina sia sufficiente a far sparire le tracce di una
recente minzione. Mentre invece, è scientificamente dimostrato da anni e anni
di trattamenti con omini bianchi e anti-smacchiatori, che in realtà la patacca
giallo-piscia è come la macchia di cioccolato o di erba: l’alone rimarrà per
sempre evidente in controluce. Per non parlare dell’ancora più vomitevole
striscia marroncina, prova evidente di una trascurata igiene post-evacuatoria.
Ma non c’è nulla da fare: rimproveri, scenate, mutande gettate nella
pattumiera, non hanno alcun effetto su questi “macchiaioli” contemporanei. Per
loro la patella è un marchio tribale, come il tatuaggio sul braccio o il
piercing al naso.
Cara, chiama il pronto soccorso che ho 37 e due di febbre
Sono
grandi, sono forti, sono loro che comandano il mondo, ma quando si tratta di
affrontare un’innocua febbriciattola, diventano dei lamentosi parassiti,
ingestibili e insopportabili ancor più del solito. Avete mai visto una donna
che con 37 °C sta a letto moribonda? Avete mai visto una femmina che,
nonostante le ossa rotte e i muscoli doloranti per l’influenza, non si trascini
faticosamente per casa occupandosi dei figli e del marito? Avete mai visto un
uomo preparare il brodino caldo per la propria compagna sofferente? Pura
fantascienza. E invece, il maschio (che riesce a regredire facilmente all’età
infantile in quanto, durante la sua esistenza, arriva solo fino alla fase
adolescenziale), appena ha un dolorino, un crampetto, un mezzo grado in più,
diventa l’essere più fastidioso e cacasotto del mondo. Perché gli uomini, che
già non sanno affrontare il dolore e rimangono impotenti di fronte alla
sofferenza altrui, figuriamoci cosa fanno davanti alla propria. Credono di
saper gestire le difficoltà, ma appena entra in campo la malattia (di lieve
entità, poi, mica cose serie) assurgono al ruolo di malati terminali,
lasciandosi andare completamente alla trasandatezza e mettendosi totalmente
nelle mani dei loro poveri surrogati materni: ovvero le mogli, uniche, vere
vittime dei blandi e innocui malanni maschili.
L’uomo
discende dalle scimmie o dai lama?
Bisognerebbe
chiedere alla scienza se la conformazione delle ghiandole salivari è differente
a seconda del genere sessuale. Infatti, non è ancora stata trovata una
spiegazione logica e razionale a uno dei fenomeni più disgustosi e repellenti
che da sempre differenziano l’universo maschile da quello femminile: lo sputo.
Marciapiedi lastricati di ciccate, verze e sostanze biancastre e filamentose
stanno lì a provare la veridicità di questo strano fenomeno tipicamente
maschile. Sembra che aspirare il catarro, formare una biglia ed espellerla
lanciandola il più lontano e il più velocemente possibile, sia una delle
attività preferite dall’uomo, a prescindere dall’età, dall’educazione e dallo
status sociale. Basta guardare i calciatori (che, casualmente, vengono sempre
ripresi mentre scaracchiano o mentre si “soffiano” il naso senza fazzoletto),
maestri ormai riconosciuti di quest’antichissima arte. Vedere una donna che
sputa è tanto raro quanto trovare un capello non sintetico sulla testa di
Berlusconi. Perché, al di là della volgarità del gesto, non ci si capacita di
questa iper-produzione salivaria che si crea nella cavità orale del maschio e
non invece in quella della femmina. Forse abbiamo una conformazione fisica
diversa, forse sono gli ormoni, forse c’è una causa genetica. O forse, gli
uomini sono solo dei maiali, senza offesa per gli educati suini.
La pelle dei piedi
Là
dove già si è accumulata la collinetta verde di produzione nasale, si possono
trovare anche tracce di epidermide direttamente strappate dalle piante dei
piedi. Esistono strumenti appositi per l’eliminazione di duroni e di calli
(lamette, pietre pomici e quant’altro), ma volete mettere la goduria di un uomo
quando se li gratta via con l’ausilio delle unghie, lasciate crescere apposta per
questo tipo di discutibile funzione? Tanto, pensano loro, dove non arrivano
l’aspirapolvere o lo swiffer, arriva l’amico acaro, che si ciba di tutto ciò
che cade dal nostro corpo (cellule epiteliali, capelli, ciglia e persino i
nostri coglioni, quando li osserviamo mentre svolgono queste abominevoli
pratiche sul divano di casa).
Scende il capello ma che fa
C’è
chi lo fa per esigenza e chi per assomigliare a Bruce Willis, ma il problema è
che non tutte le teste stanno bene rasate. E il riporto è un’alternativa
inconcepibile, riservata solo a coloro che non conoscono il senso della
vergogna e che magari si vestono ancora in stile anni ’70. Prima o poi, 90
uomini su 100 perdono sul campo decine di migliaia di capelli, vittime
inconsapevoli la cui caduta rivela gradualmente fronti un tempo per nulla
spaziose, tempie scavate, zigomi gonfi e nuche rugose. Se le donne potessero
prevedere il cambiamento che si compie nel maschio dopo i trent’anni, quando al
posto della zazzera sexy e selvaggia si comincia a intravedere un’orribile
cranio pieno di macchie e di strane irregolarità, forse ci penserebbero due
volte prima di accoppiarsi con un uomo. Perché, non c’è niente di più triste di
un maschio che tenta disperatamente di nascondere la calvizie incipiente con lozioni
puzzolenti, inutili massaggi, pillole anticaduta e, come estrema ratio,
trapianti o parrucchini abominevoli, ultimo punto di degrado del vanitoso. E
allora, meglio una bella rasata e via, come novelli Yul Brinner sulla cui
capoccia lucida ci si può addirittura specchiare. Peccato che, sotto tutti quei
centimetri quadrati di pelle, non ci sia niente di altrettanto voluminoso che
riempia quell’inutile spazio vuoto.
Artigli pericolosi
È
probabile che negli anni voi abbiate diligentemente collezionato decine di
forbicine per le unghie con diversi tipi di punta: dalla piatta alla curva, da
quella affilata a quella per neonati. Eppure, date le ragguardevoli dimensioni
delle sue unghie, l’attrezzo più adatto a lui è sicuramente il trinciapollo.
Per forza: più che unghie, infatti, sembrano artigli, oltretutto duri, spessi e
di colore tendenzialmente giallastro. In particolare quelle dei piedi, poiché
quelle delle mani, o se le mangiano, o se le lasciano crescere per arpeggiare
sulla chitarra come patetici emulatori di Paco De Lucia. Per voi, invece, la
loro toilette mensile è come un incubo ricorrente. Quando infatti il
tagliaunghie, detto anche tronchesino (quello che non si riesce mai a infilare
negli angolini, lasciando l’unghia squadrata, come se fosse stata progettata da
un geometra) scatta come una ghigliottina sui loro artigli da avvoltoio, pezzi
di unghia sparati come proiettili vagano per il bagno, rischiando di ferire
chiunque si trovi sulla loro traiettoria. Starà poi a voi andare a ricercare i bossoli
ormai vuoti incastrati dietro il lavandino o la vasca, sempre che i soliti,
famosi acari non li abbiano trascinati via ululanti per banchettare.
Il lago oltre la vasca
Chissà
perché il bagno è il luogo dove l’uomo riesce sempre a tirare fuori il peggio
di sé. Quando esce dalla vasca, infatti, dove ha passato le ultime due ore
circondato da paperelle e pietre pomici galleggianti, oltre che a leggere un
giornale ormai completamente spappolato, dire che fa un lago è non solo
riduttivo, ma anche leggermente offensivo nei confronti della massa di liquido.
Perché, al pari di Mosè che aprì le acque del Mar Rosso per far passare il suo
popolo, così lui si fa largo nella vasca, rovesciando litri e litri di acqua
per far passare il suo corpo nudo e ballonzolante fino all’accappatoio; e, come
la diga di Assuan si apre e si chiude gettando nell’omonimo lago milioni di
tonnellate di liquido, così la vasca tracima e il pavimento del bagno si
trasforma in una palude infestata dagli alligatori, come neanche nella Louisiana
francese. E ogni volta sono asciugamani e giornali gettati per terra per
assorbire l’acqua in eccesso, come se fosse possibile asciugare il lago di
Garda stendendogli sopra uno straccio per pavimenti.
Gli
uomini sono tutti poeti perché si esprimono in versi, soprattutto di notte
quando dormono
Se
dormite, lui vi sveglia. Se siete sveglie, vi impedisce di addormentarvi. E
così, non c’è rimedio al suo russare, a quel rantolo fastidioso e irritante, a
quegli sbuffi da locomotiva dell’800, a quei fischi e a quei ronzii al cui
confronto, una zanzara d’estate sembra una tisana rilassante. Lui non vuole
saperne di dormire sul divano perché è scomodo, allora voi provate con tutte le
tecniche e i rimedi che trovate in giro. Dagli spray che in teoria dovrebbero
ridurre l’intensità dei grugniti e che, invece, stimolano ulteriormente le sue
secrezioni nasali - facendogli fare ancora più versi -, ai cerotti che
allargano il naso i quali, oltre a farli sembrare dei pugili suonati, gli fanno
passare ancora più aria dalle narici, con conseguente aumento dell’attività
russatoria; dai cuscini anatomici - l’invenzione più pacco di tutta la storia
delle invenzioni-pacco - che tramutano i rantoli in inquietanti nitriti equini,
fino ai rimedi della nonna, quali tisane, erbe, decotti e impiastri da mettere
sul petto per sciogliere le mucose. Tutto inutile: non solo il russare aumenta,
ma in più lui dormirà ancora più beatamente del solito, lasciandovi nella più
cupa disperazione. E non saranno di consolazione i calci agli stinchi sotto le
lenzuola o il tappargli il naso per alcuni secondi, con la tentazione di non
mollare la presa fino a quando non annasperà in cerca d’aria (e così, a quel
punto, potrete finirlo soffocandolo con il cuscino anatomico, che almeno si
rivelerà utile a qualcosa). Passerete le vostre nottate a fare il richiamo del
gatto, a rigirarvi nel letto in cerca di una soluzione definitiva al problema,
oppure con il terrore che i tappi nelle orecchie vi si innestino nel cervello.
Al colmo della beffa, la mattina dopo lui vi dirà: “Sai cara che stanotte ti ho
sentita russare? Devi fare qualcosa per questo problema!”.
Non
entrate in quella cucina
La pasta è scotta. La carne è
cruda. L’acqua non è fredda. Le patate non sono croccanti. Le lasagne hanno
troppa besciamella. La pizza è acida. I legislatori italiani hanno deciso di
introdurre nel codice penale un nuovo reato a sfondo gastronomico: l'omicidio
del marito per rottura di coglioni mentre la moglie cucina. Purtroppo, infatti,
questi gourmet dei poveri, questi Carlo Cracco della mutua, questi fratelli
scemi (e ce ne vuole) di Gianfranco Vissani, quando si avvicinano ai fornelli
si trasformano in odiosi e saccenti chef, pretendendo di dispensare i loro
inutili consigli a donne che cucinano da tutta una vita. Si mettono lì, alle
spalle delle povere cuoche, e supervisionano il loro operato esprimendo pareri
non richiesti su tutto lo scibile culinario. Ma la cosa peggiore è il caos che
lasciano dietro di sé dopo aver fatto da insostituibili consulenti, delegando
alle sguattere il compito di rimediare ai loro terrificanti disastri. Cucina
del gas incrostata d’unto di vario tipo, spezie sparse sul piano di lavoro,
frigoriferi devastati manco fossero passati gli Ostrogoti. Alla fine, oltre il
danno l'inevitabile beffa, quando, in presenza degli amici, si vanteranno di
essere stati gli ideatori e i creatori delle squisite pietanze servite, mentre
le tristi consorti verranno considerate le semplici esecutrici materiali dei
loro capolavori. Come vendicarsi? Assicuratelo a una robusta sedia durante
l’ora di pranzo, incerottategli la bocca e obbligatelo a guardare tutti i
giorni Antonella Clerici mentre canta “Le tagliatelle di nonna Pina” insieme al
suo pubblico di ultraottantenni. Non metterà più piede in una cucina neanche
sotto tortura.
Una
tranquilla serata di paura
Altro che conflitto USA-Afghanistan;
altro che combattimenti al confine con la Siria; altro che tensione in Medio
Oriente; quella che si svolge ogni sera nel salotto di casa è una battaglia
all’ultimo tasto, con tanto di strategie, tattiche e tecniche di guerra
terroristica. Anche se ormai tutte le abitazioni sono dotate di almeno due
televisori (di solito in soggiorno e in camera, ma c’è chi li mette anche in
cucina, in bagno, in sgabuzzino, sul soppalco, sul balconcino di servizio e sul
davanzale della finestra, a mo’ di condizionatore), avere il controllo totale
del telecomando è diventata una questione di principio, che sancisce
definitivamente il monopolio del potere assoluto. Segrete alleanze tra
familiari che vogliono vedere lo stesso programma, guerra di nervi tra chi
desidera guardare la partita e chi il film d’amore su Retequattro, insulti
all’ultimo sangue tra sostenitori dello show di Fiorello e fan dei documentari su
Discovery Channel, maschi obesi che diventano abili ginnasti pur di
accaparrarsi il telecomando inopinatamente lasciato incustodito sul divano,
causa pausa-pipì, bambini che ululano perché i cartoni animati vengono ormai
trasmessi a tutte le ore; insomma, niente sconvolge una famiglia più di una
tranquilla serata davanti alla tv.
P.S. Un consiglio a tutti i
ragazzi che vogliono rivelare ai genitori la propria omosessualità: se dovete
dirlo a papà, aspettate di farlo durante la finale di Champions League, quando
nel suo cervello le sinapsi saranno momentaneamente bloccate. Mentre, se dovete
dirlo a mamma, prima fatele guardare una puntata di Sex and the city: al suo
confronto, la vostra rivelazione sembrerà l’annuncio di una signorina buonasera
prima di Carosello.
L’ammainabandiera
Ci sono due categorie di donne: quelle che al mattino sopportano di farsi
svegliare dal proprio partner mentre è in preda a un’erezione, e quelle che, in
caso di disturbo, estraggono delle inquietanti cesoie da sotto il cuscino, a mo’
di avvertimento. A una certa età, però, l’uomo, nonostante sia preda del solito
riflesso condizionato che alle prime luci dell’alba lo fa
assomigliare a un cavatappi prossimo a sturare
la bottiglia, spesso e volentieri sul più bello si riduce alle dimensioni di un
cagnotto da lenza. Insomma, nonostante le premesse favorevoli, l’esito è un
disastro senza attenuanti. Le donne della prima categoria ne saranno solo
moderatamente affrante, e daranno la colpa per la debacle all’aspetto da cane
sharpei che si ritrovano di prima mattina, che farebbe afflosciare persino un
pilone d’acciaio; le signore appartenenti alla seconda categoria, invece,
potranno finalmente godersi il meritato riposo mattutino senza dover più subire
l’assalto alla baionetta del patetico garibaldino.